Siamo due fratelli, Lina e Giuseppe Da Rold, testimoni dell’eccidio del 10 marzo 1945 al Bosco delle Castagne.
All’imbrunire del 10 marzo 1945 io, ragazzina di 11 anni, ritornavo da scuola e camminavo sul ciglio della strada allora in terra battuta di via Travazzoi. Arrivata all’altezza delle fornaci bellunesi, dove allora si fabbricavano mattoni in creta, fui colpita da un vociare fragoroso e da sghignazzate gracidanti.
Solitamente a quell’ora regnava in quella strada il silenzio, perciò rimasi impaurita e mi accostai di più alla siepe stringendomi nelle spalle. Il vociare scomposto si avvicinava sempre di più e una schiera di soldati tedeschi in fila indiana procedevano verso di me, l’ultimo della fila reggeva sulle spalle una scala a pioli. Ogni tanto si giravano verso la loro destra e pronunciando parole a me sconosciute, ma che mi parevano imprecazioni, guardavano verso il colle del Bosco delle Castagne, dove alcuni giorni prima era scoppiata una mina ed erano morti dei soldati tedeschi.
Anch’io rivolsi lo sguardo verso quel colle che allora era brullo, ma da alcuni rami dei castagni vidi penzolare delle sagome nere. Non capii cosa era successo, mi misi a correre verso casa e con il fiatone in pochi minuti riuscii a raggiungere la mia abitazione. In poche parole piuttosto sconclusionate riferii alla mamma e a mio fratello Giuseppe, di nove anni, ciò che avevo visto e sentito.
Ora il racconto drammatico lo riferisce Giuseppe:
Erano circa le 16.45 ed io raccoglievo delle foglie dei noci che fiancheggiavano la strada di via Travazzoi. Mi passarono davanti dei soldati tedeschi che procedevano in fila indiana, tale fila così si presentava: davanti alcuni Tedeschi armati di fucile, nel mezzo 10 borghesi con le mani legate dietro, fra questi notai uno che zoppicava, la fila era chiusa da altri Tedeschi armati di fucile.
Lasciai il mio lavoro e li seguii a breve distanza.
La colonna si diresse verso le case Damian che noi chiamavamo Branconi.
Arrivati nei pressi della nuova casa di Camillo De Prà, allora in costruzione, sganciarono da un muro una piccola scala a pioli, la consegnarono a due loro prigionieri che la reggevano sempre con le mani legate. L’incedere di questi due mi apparve molto incerto. A quella scaletta si appoggiò il prigioniero zoppicante. Iniziarono a salire verso il ripido colle che portava verso il Bosco delle Castagne.
Impaurito mi allontanai correndo verso casa per avvisare i miei genitori di ciò che avevo intuito potesse accadere.
Implorai mio padre di lasciare il lavoro nella stalla e di nascondersi nel bosco di nostra proprietà vicino a casa. Lui accettò il mio consiglio e si allontanò. Temevo che i Tedeschi facessero altre rappresaglie fra tutta la popolazione di via Travazzoi e Vezzano, memore di ciò che era accaduto alcuni giorni prima quando nel cortile dei Valt i Tedeschi avevano messo al muro circa una cinquantina di persone, poi liberate per l’intervento del vescovo Mons. Bortignon. Ritornai, anche su suggerimento della mamma, sulla strada adiacente alla nostra casa per continuare il mio lavoro (raccoglitore di foglie per la lettiera degli animali). Dopo breve tempo rividi la colonna dei Tedeschi ripercorrere a ritroso la via Travazzoi senza i dieci prigionieri. Sghignazzavano, cantavano, imprecavano.
Guardai verso il Bosco delle Castagne e vidi penzolare dai castagni delle sagome nere. Ebbi la certezza che i prigionieri visti poco prima erano stati impiccati.
Negli anni cinquanta, il ricordo indelebile di quei fatti così drammatici mi ispirarono la composizione di questi versi.
10 marzo 1945
Ero fanciullo.
Li vidi procedere,
anco pur stanchi,
fieri.
Li accompagnai
per un tratto.
Li vidi penzolare
dai castagni
sul colle,
e sentii
l’infame cricca alemanna
gracidar
un guttural peana.
Li rivedo spesso.
Mi dicono:
Non scordare!