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LA PRIVATIZZAZIONE DEL WELFARE

articolo di Ezio Casagranda, segretario Filcams Cgil del Trentino
segnalatoci da Gill



Ho letto l'accordo sindacale” alla Luxottica che introduce l’assistenza sanitaria integrativa. Purtroppo, nel panorama nazionale quello della Luxottica non è una novità in quanto è già presente in alcuni contratti nazionali, (commercio, turismo).
Simili scelte non mi trovano d’accordo sia nel metodo che nel merito. Nel metodo devo rilevare che alla Luxottica l’assistenza sanitaria è il risultato di una scelta aziendale supinamente accettata dal sindacato.
Nel merito ecco alcune considerazioni:
Dal punto di vista pensionistico va rilevato che queste scelte, compreso il cosiddetto “carrello spesa” anche se nell’immediato sembrano portare qualche vantaggio anche al lavoratore poiché “non paga l’Irpef e i contributi sociali” alla lunga sono invece fortemente penalizzanti per gli stessi lavoratori, specialmente i più giovani che hanno la pensione contributiva.
Dal punto di vista culturale e sociale è la legittimazione del sistema impresa, con il placet sindacale, a puntare sull’elusione fiscale e contributiva. Quindi una vera contraddizione politica per quanti la mattina manifestano contro l’evasione fiscale e nel pomeriggio siglano accordi che evitano all’impresa di pagare le tasse ed i contributi sul salario erogato.
Dal punto di vista generale questi accordi contribuiscono a trasformare il nostro stato sociale a carattere universale, in un sistema di welfare privato, costoso e potenzialmente accessibile ai soli occupati.
Senza accorgersene, si da una mano alla privatizzazione dello stato sociale e si determina una frattura preoccupante fra inclusi (chi lavora) e gli esclusi i disoccupati o i precari. Altro che unificazione del mondo del lavoro, queste pratiche, non a caso proposte dalle aziende, tendono a legare il lavoratore, mani e piedi, all’interesse dell’azienda lasciando, se richiesto, i diritti fuori dalla fabbrica.
Il tutto alla faccia della necessità di dare maggiori tutele ai giovani, ai precari, alle partite iva, ecc. che queste scelte tendono invece a penalizzare ulteriormente.
Infatti questo sistema copia gli aspetti più negativi di quello vigente negli USA  e determina una situazione nella quale, quando il lavoratore perde il lavoro, non perde solo il reddito ma anche tutto il sistema di tutele sociali in quanto non più universali, ma esclusivamente legate alla condizione di occupato.
In ultima alcune riflessioni sul versante sindacale e sul livello della contrattazione. Non entro nel merito del singolo accordo ma sul fatto che se si accetta la scelta dell’azienda di erogare “servizi “ anziché salario si accetta di cambiare radicalmente anche la natura stessa del sindacato. Da soggetto contrattuale a mero erogatore/gestore di quote economiche che servono per pagare uno stato sociale che sarà sempre più costoso in quanto privatizzato.
Viene meno il legame fra prestazione lavorativa e salario, fra professionalità e retribuzione e quindi nei fatti si minano le fondamenta della contrattazione (nazionale, territoriale o aziendale che sia) e la stessa Costituzione che prevede per ogni lavoro un’equa retribuzione. Quindi se questo embrione contrattuale dovesse prendere piede fra pochi anni ci troveremo non più a contrattare le condizioni di lavoro, salariali e retributive ma a discutere di quale sarà il contributo del lavoratore per far funzionare la macchina dei rimborsi per gli alti costi del welfare piegato al profitto privato.
Cerrutti della Cgil sostiene la positività dell’accordo dicendo che è meglio di niente in questo momento nel quale è difficile rinnovare i contratti. Della serie Tremontiana “meglio il piuttosto che il niente” che ci ha portati all’attuale disastro dei conti pubblici.
Questa dichiarazione appare come la “resa” culturale del sindacato alle logiche di impresa. [...]

Tratto dal blog:
Filcams Cgil del Trentino/Contro tutte le precarietà

                 

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